Non è la solita performance in cui LeMolecole scelgono la musica, fanno un sopralluogo provano un paio di volte x dare forma all’intervento e vai di adattamento e improvvisazione, stavolta a LeMolecole si chiedono due interventi dove certo è che devono fare il loro mestiere cioè improvvisare, ma su di un palco e all’interno di uno spettacolo costruito in ogni piccolo dettaglio, con tempi, incastri, temi da rispettare.
Alcuni hanno subito accettato, altri si sono aggiunti, qualcuno è fuggito spaventato dai paletti ma alla fine siamo arrivati alla prima.
LeMolecole hanno investito energia e cuore nella loro partecipazione, sia chi è salito sul palco sia chi è rimasto a guardare.
LeMolecole hanno fatto i facchini, i falegnami, i tecnici, hanno collaborato alle musiche, hanno coinvolto le famiglie e hanno soprattutto BALLATO LA CONTACT IMPROVISATION: la più vera abbattendo man mano i paletti che sembravano necessari alla costruzione degli interventi per permettere il fluire anche sul palco, in ogni gesto, della verità, della sensibilità e dello spirito che sono la prerogativa della nostra danza anche in un contesto così strutturato.
Il prodotto raggiunto ci riempie di orgoglio per aver avuto l’occasione di collaborare con veri professionisti della danza, per il nostro lavoro e per aver avuto la possibilità di inserire la contact improvvisation in un nuovo ambito e di portarla dignitosamente su di un palco importante.
Desidero personalmente ringraziare per la disponibilità e la pazienza le nostre famiglie e il resto del Gruppo LeMolecole, quelle che non sono salite sul palco, che ci hanno aiutato e sostenuto in sala e altrove, rinunciando spesso a serate più varie e più leggere per sostenerci nel cercare insieme a noi la maniera giusta per affrontare questo progetto.
monica
Il progetto nasce da un'idea di Martine Bucci ispirata dalle opere pittoriche di Robert Indermaur. Opere urbane, grigie, platiche e teatrali che mostrano le quinte del caotico scorrere della vita umana nei difficili giorni del nostro tempo
Casermoni di periferia, alveari di cemento. Cubi sottovuoto, uno sopra l’altro, uno accanto all’altro, a contenere vite impregnate di umori stagnanti, di gesti ripetuti, del profumo del primo caffè della giornata, quello che cancella i sogni dagli occhi, dell’odore del sugo per la pasta, madre certa di ogni orfano di benevolenza.
Dentro le mura ogni giorno si celebrano gli umani riti fatti di azioni quotidiane, di intime manie, di traiettorie consuete, indispensabili a dimenticare le paure e a sopravvivere alla solitudine. E’ dentro queste solitudini che il pubblico, con occhio “orwelliano”, spia dalle finestre, ospite non annunciato delle altrui intimità, spettatore delle vite degli altri, inevitabilmente sorpreso dai riflessi della propria esistenza.
Altri occhi però guardano dalle finestre aperte.
Lì fuori, forse, lo spazio è ancora più stretto: compressi dagli altri o abbandonati a se stessi l’esistenza trascina esseri umani nella rincorsa di un tram che non ha meta certa ma il cui obbiettivo è il viaggio stesso.
Percorsi obbligati, anguste salite e precipizi inaspettati sono il pentagramma su cui ciascuno cerca di far sopravvivere la propria melodia che a volte stona e a volte meraviglia consolando chi ha l’ardire o la scelleratezza di continuare a mettersi in gioco.
Proprio quando i rumori della strada si placano, si chiudono le finestre e si spegne la luce, le immagini, i suoni, gli odori ritornano per colorare le palpebre socchiuse ed aprire le porte più segrete della nostra fantasia.
Assolti da un buio e da un silenzio colpevoli della nostra solitudine, possiamo uscire per entrare nelle case degli altri, per ricambiare quello sguardo incrociato sulle scale, per ballare la musica che proveniva dal piano di sopra, per placare il pianto di quel bambino che ha strillato tutto il giorno, per cercare con le labbra l’umida goccia di profumo che ha lasciato la sua scia nell’ascensore, per unire ai nostri i sospiri di quegli ansimi trattenuti che hanno trafitto le pareti.
Ma il sogno il mattino finisce lasciando spazio alle nostre paure mascherate dai soliti gesti, feroci protettori della nostra solitudine.
E’ solo il coraggio di scendere in strada, di aprire gli occhi, le orecchie, le braccia o il cuore verso gli altri che può creare la “possibilità” di fare accadere qualcosa ed è questa “possibilità” l’unica speranza di uscire dalle mura di noi stessi.
E’ il prendersi il rischio di intraprendere percorsi non previsti lungo i quali le vite si consumano, corrono, si incontrano e si scontrano nella precarietà umana, che viene premiato dalla vita stessa per il solo merito di viverla.
1 commento:
"COSì E' LA VITA!" è stato il mio primo pensiero alla fine dello spettacolo di CASAGRANDE
Per me, molecola osservatrice e ricettiva dei tanti stimoli molecolari, è stato proprio bello ed emozionante vedervi creare pezzi di vita in quella casagrande.
La magia molecolare ha prodotto ancora la sua alchimia vitale, dando forma a scene di vita con movimenti armonici e leggeri.
Vi voglio bene molecole spettacolari
Elena
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